Nei reati di bancarotta commessi dagli amministratori esecutivi, concorre – per condotta omissiva – anche l’amministratore privo di deleghe? E quali sono gli elementi costitutivi di tale complessa fattispecie?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 33582 del 2022, ha affrontato la quaestio iuris sopra enunciata, fornendo spunti significativi in merito alla risoluzione di un intricato problema.

Brevemente i fatti: la Corte d’Appello di Bologna aveva affermato la penale responsabilità dell’amministratore – seppur privo di deleghe – di un consorzio, per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale. La difesa dell’imputato presentava un pregevole ricorso avverso la suddetta pronuncia di merito, evidenziando l’assenza di motivazione circa la sussistenza del nesso di causalità tra la condotta (omissiva) e gli eventi contestati; il Giudice d’appello, peraltro, non aveva neppure esaminato il “profilo volitivo” del dolo del ricorrente.

Le doglianze difensive, così riassunte, vengono ritenute fondate dal Supremo Collegio, il quale annulla con rinvio la sentenza impugnata. Trattandosi di una tematica significativa, anche per la sua frequente incidenza statistica, il Giudice di legittimità ne ribadisce i principi fondanti.

Innanzitutto, in tema di reati societari, il d.lgs. n. 6 del 2003 ha ridotto gli oneri e le responsabilità degli amministratori privi di deleghe: questi, infatti, risultano penalmente responsabili esclusivamente per la commissione di un evento che, pur potendo, non hanno impedito. Inoltre, sono responsabili verso la società, ma nei limiti delle attribuzioni loro assegnate dalla legge: non sono più sottoposti ad un generale “obbligo di vigilanza”, ma rispondono solo quando non abbiano impedito le condotte dannose degli amministratori con delega (pur essendone a conoscenza).

In buona sostanza, la Terza Sezione ritiene che “il concorso omissivo dell’amministratore non esecutivo nei reati di bancarotta è configurabile per violazione del dovere di agire informato e soltanto qualora l’omesso intervento abbia avuto effettiva incidenza causale nella commissione del reato da parte degli amministratori con delega”.

La Corte, in altre parole, sottolinea che la responsabilità del c.d. “consigliere non operativo” non può fondarsi soltanto su una supposta posizione di garanzia – quasi si trattasse di una responsabilità di mera posizione – e discendere, tout court, dal mancato esercizio dei doveri di intervento. Esistono, al contrario, dei puntuali “elementi sintomatici” idonei a dimostrare un’omissione esorbitante dalla dimensione meramente colposa.

Per concludere, la conoscenza di una pluralità di “elementi indizianti” la sussistenza di un reato, presuppone che l’amministratore non esecutivo sia rimasto inerte, accettando il rischio dell’evento: da ciò deriva la sua responsabilità penale – in concorso con gli autori materiali – a titolo di dolo eventuale.

 

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