La III sez. pen. della Corte di Cassazione, con la recente pronuncia n. 25656 del 2022, ha incrementato il dibattito che si è sviluppato intorno all’applicabilità dell’art. 13 bis, comma 2, d.lgs n. 74 del 2000, il quale impone la previa ed integrale estinzione del debito tributario, così da poter accedere al patteggiamento.
Nel caso di specie, il Supremo Collegio accoglieva il ricorso presentato dalla Procura Generale di Perugia, disponendo l’annullamento senza rinvio di una sentenza di patteggiamento emessa nei confronti di un imprenditore, imputato per i delitti di cui agli artt. 5,8 e 10 del Decreto in parola.
La Procura perugina, infatti, lamentava l’illegittimità dell’accordo raggiunto dalle parti processuali, evidenziando la mancata soddisfazione delle pretese erariali, rectius, l’inosservanza delle condizioni di ammissibilità al rito premiale previste dall’art. 13 bis.
Scavalcando un orientamento piuttosto consolidato, gli Ermellini hanno concluso che “la preclusione al patteggiamento, posta dall’art. 13 bis, comma 2, opera anche con riferimento al delitto di cui all’art. 8”.
Si ritiene utile, a questo punto, formulare almeno tre osservazioni. In primis, è apprezzabile che il giudice di legittimità abbia voluto evidenziare, con precisione non comune, la ragione per la quale l’emissione di fatture per operazioni inesistenti – da sempre ritenuto un reato con minor disvalore rispetto ai c.d. “illeciti dichiarativi” – sia sussumibile nel rigoroso campo applicativo dell’art. 13 bis, comma 2. Il motivo risiede nella rintracciabilità di un indebito vantaggio fiscale, anche nel caso di un’evasione fiscale non diretta, come quella realizzabile ex artt. 8 e 10, d.lgs 74/2000.
In secundis, è doveroso tener presenti i molteplici problemi di incostituzionalità ed applicativi che l’art. 13 bis, comma 2, ha disseminato sin dalla sua entrata in vigore. Da un lato, si è sempre (giustamente) sostenuto che il limite di accesso al patteggiamento avrebbe potuto determinare una rilevante disparità di trattamento tra chi ha la disponibilità economica per procedere al pagamento del debito tributario e chi non è in grado di farlo; sul secondo versante, invece, è emersa la difficoltà di far coesistere siffatta norma con la causa di non punibilità prevista dall’art. 13, nonché con la struttura della maggior parte degli illeciti fiscali, raggruppati nel decreto medesimo.
Terzo rilievo critico, per concludere: nel reato punito dall’art. 8, subordinare l’accesso al patteggiamento al versamento del debito tributario, significa incentivare tale versamento sia per l’utilizzatore delle fatture asseritamente false, sia per l’emittente delle stesse, con l’irragionevole ed indebito incameramento da parte dell’erario della medesima imposta, per due volte.
Alla luce di ciò, è auspicabile un intervento delle Sezioni Unite volto a scongiurare una conseguenza così “nefasta”, nonché a sbrogliare – definitivamente – una quaestio iuris così intricata.
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