“In tema di bancarotta da dissesto conseguente ad operazioni dolose, se una condotta dell’amministratore che aggravi un dissesto societario già esistente, può dirsi penalmente rilevante, al contempo occorre verificarne la portata causale, dovendosi indagare in concreto la sussistenza del nesso eziologico”.

La massima enunciata racchiude il nucleo della sent. n. 47376 della V sez. Cass. Pen., con la quale il Supremo Collegio è tornato a confrontarsi – date le innumerevoli problematicità – con l’art. 223 l. fall., specie riferendosi al fallimento di una società cagionato da operazioni dolose (co. 2, num. 2).

Brevemente i fatti: in sede di merito, veniva dichiarata la responsabilità penale dell’amministratore di una fallita S.p.a. per il reato di bancarotta societaria per effetto di operazioni dolose – consistite nel ripetuto mancato pagamento di imposte e contributi previdenziali – compiute ai sensi dell’art. 223, co.2, num. 2 l. fall.

In sede di ricorso per cassazione, la difesa evidenziava come l’imputato fosse stato nominato amministratore di diritto, quando ormai la società era inattiva; pertanto, il fallimento si sarebbe comunque verificato, anche se fossero stati adempiuti gli obblighi tributari.

Il Giudice di legittimità – accogliendo le doglianze difensive – traccia un’interpretazione ragguardevole, offrendo altresì alcuni valevoli spunti circa l’intricata quaestio iuris.

Innanzitutto, la norma sulla “bancarotta da dissesto” deve essere utilizzata per punire la condotta consistente nel sistematico inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali, all’esito di una consapevole scelta gestionale da parte degli amministratori della società. Nulla quaestio sul punto, così come non vi è dubbio nel ritenere che le operazioni dolose richiamate dall’art. 223, comma 2, n. 2 l. fall., possano consistere nel compimento di qualunque atto intrinsecamente pericoloso per la “salute economica” dell’impresa.

In secundis, la Corte ribadisce che il nesso di causalità tra l’operazione dolosa e il fallimento non è interrotto da una preesistente causa (in sé) sufficiente a cagionare il dissesto, dovendosi applicare l’art. 41 c.p. (concorso causale).

Per queste ragioni, ai fini del reato di bancarotta in esame, il nesso di causalità fra l’operazione dolosa e il fallimento della società non è escluso, se la medesima operazione ha cagionato anche solo l’aggravamento del dissesto già in atto (che rileva penalmente). Tuttavia – e qui sta il punto – occorre verificare l’esistenza e la portata di questo aggravamento da un punto di vista causale, oltre che l’incidenza rispetto al complessivo dissesto.

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