Sentenza Cass. pen., Sez. V, 14/11/2019 n. 1203
Il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione concorre in qualità di reato presupposto con il delitto di autoriciclaggio di cui all’art. 648 ter.1 c.p.
La Corte Suprema di Cassazione ha ritenuto che non sussistono ragioni ostative alla configurabilità del concorso tra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, sia post che pre fallimentare, quale reato presupposto e il delitto di autoriciclaggio di cui all’art. 648 ter.1 c.p.p., in presenza di tutti gli elementi costitutivi di tale ultima fattispecie.
La Cassazione chiarisce che, ai fini della configurabilità del delitto di autoriciclaggio, non risulta sufficiente il mero impiego in attività imprenditoriali dei beni dell’impresa poi fallita oggetto della condotta distrattiva, dovendo ricorrere gli ulteriori elementi caratterizzanti la fattispecie di autoriciclaggio. In particolare, la stessa norma perimetra le condotte punibili soltanto in quelle idonee ad ostacolare concretamente l’identificazione dell’origine delittuosa dei proventi (clausola modale) ed esclude la punibilità nel caso in cui il denaro, i beni e le altre utilità, provento del delitto presupposto, vengano destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale.
Penale Sent. Sez. 5 Num. 1203 Anno 2020
Presidente: VESSICHELLI MARIA
Relatore: PEZZULLO ROSA
Data Udienza: 14/11/2019
SENTENZA
sul ricorso proposto da: HU SHAOJING nato a ZHEJIANG( CINA) il 15/10/1964
avverso l’ordinanza del 13/07/2019 del TRIB. LIBERTA di PALERMO
udita la relazione svolta dal Consigliere ROSA PEZZULLO;
lette/sentite le conclusioni del PG MARIO MARIA STEFANO PINELLI
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto
udito il difensore
L’avv. Enrico TIGNINI chiede l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 13.7.2019 il Tribunale del riesame di Palermo ha confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal G.I.P del Tribunale di Termini Imerese in data 24.06.2019 con riferimento al capitale sociale della H & Y s.r.l. del valore nominale di euro 10.000,00 di cui risulta socio unico il ricorrente Hu Shaojing, configurandosi a suo carico il fumus dei reati di concorso quale extraneus nella bancarotta fraudolenta documentale e per dissipazione, e
comunque, per distrazione dei beni della fallita Z&H s.r.l. ex art. 216, primo comma, n. 1 e 2, 219 commi 1 e 2 e 223 comma 1 L.Fall., nonché di cui agli artt. 110 e 11 D.Lgvo n. 74/2000 e di concorso nel reato di cui all’art. 648 ter.1 c.p..
1.1. Secondo quanto è dato evincere nella premessa del provvedimento impugnato, l’indagato – socio unico della H&Y s.r.l. costituita il 19 maggio 2016, in concorso con altri soggetti, tra cui gli amministratori di diritto della fallita. e gli amministratori concorrenti estranei delle società New Star, Y&H2 – avrebbe contribuito a determinare il fallimento della società Z&H s.r.I., distraendone il patrimonio della stessa, attraverso la creazione di altre società (e tra queste
appunto la H&Y) allo scopo di dividere i beni della fallita (sfruttando anche l’avviamento e gli utili pari ad almeno euro 3.183.016, come riportati nella dichiarazione dei redditi dell’anno 2016, continuando a svolgere la medesima attività commerciale nelle medesime sedi), in pregiudizio ai creditori della Z&H, rimettendo in tal modo in circolazione e investendo anche i proventi dei commessi delitti.
2 Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione Hu Shaojing, a mezzo del suo difensore di fiducia, lamentando:
-con il primo motivo, la ricorrenza del vizio di cui all’art. 606, primo comma, lett. b), in relazione alla violazione dell’art. 11 del d.lgs. 74/2000 e dell’art 321 c.p.p.; invero, il reato di cui all’art. 11 D.Igs n. 74/2000 è un reato proprio, che può essere commesso solo ed esclusivamente dal contribuente obbligato, con equiparazione degli amministratori di fatto di una società a quelli di diritto; diversa è la situazione del ricorrente, ritenuto concorrente extraneus al delitto, non avente alcun rapporto od altro tipo di legame con gli amministratori di diritto della Z & H s.r.I.; in ogni caso, quel che rileva nella fattispecie in questione, è la fraudolenza dell’atto, ossia quel comportamento che quand’anche formalmente lecito risulti connotato da elementi di inganno o di artificio, consistente in uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all’esecuzione; ai fini della configurabilità del reato non è, dunque, sufficiente la semplice idoneità dell’atto ad ostacolare l’azione di recupero del bene da parte dell’erario, essendo necessario il compimento di atti che si caratterizzino per la loro natura simulatoria o fraudolenta, mentre tra le condotte di sottrazione contestate all’indagato difettano non soltanto negozi giuridici simulati, ma anche atti fraudolenti;
-con il secondo motivo, la ricorrenza del vizio di cui all’art. 606, primo comma, lett. b), c.p.p. in riferimento alla violazione dell’art 321 comma 1 c.p.p. c.p.p.; invero, il provvedimento impugnato ha confermato il sequestro preventivo ex art 321, comma 1, c.p.p. disposto per tutti i reati ed, in particolare, per il reato di bancarotta fraudolenta per la distrazione dei rami di azienda in favore di altre società e l’ammontare dei presunti utili distratti, ma non ha individuato la quota di utili che sarebbe stata assegnata a ciascuna società e specificamente alla H&Y; il valore del sequestro preventivo disposto nei confronti di ciascun indagato è di gran lunga superiore al valore delle presunte quote distrattive contestate;
-con il terzo motivo, la ricorrenza del vizio di cui all’art 606, primo comma, lett. b), c.p.p. in riferimento all’art.648 ter.1 c.p.; invero, l’ordinanza impugnata è viziata da violazione di legge circa il giudizio di gravità indiziaria per il delitto di autoriciclaggio, considerato che le condotte integratrici di quest’ultimo sono le stesse contestate con riguardo al reato di bancarotta, senza l’individuazione di alcuna attività dissimulatoria ulteriore; il fumus del reato in questione emerge esclusivamente in base al fatto che i beni e le utilità provenienti dalla società fallita sarebbero confluiti in altre realtà imprenditoriali caratterizzate da normale operatività, senza individuare un quid pluris che al di là del riutilizzo del denaro in altre attività sia indice di una particolare idoneità dissimulatoria rispetto all’origine del denaro.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non merita accoglimento.
1.Giova premettere che il ricorso per cassazione contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, o probatorio, è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere, sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argonnentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante, o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e, quindi, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. 5, 13/10/2009, n. 43068; Sez. Un., n. 25932 del 29/05/2008). In particolare, in sede di riesame del provvedimento di sequestro , il Tribunale è chiamato a verificare l’astratta configurabilità del reato ipotizzato, valutando il “fumus commissi delicti”, in relazione alla congruità degli elementi rappresentati, non già nella prospettiva di un giudizio di merito sulla fondatezza dell’accusa, ma con riferimento alla idoneità degli elementi su cui si fonda la notizia di reato a rendere utile l’espletamento di ulteriori indagini per acquisire prove certe o ulteriori del fatto, non altrimenti esperibili senza la sottrazione del bene all’indagato o il trasferimento di esso nella disponibilità dell’autorità giudiziaria (Sez. 3, n.15254 del 10/03/2015,Rv. 263053).
Nell’ambito di tale cornice valutativa deve ritenersi come il provvedimento impugnato – con il quale, è stata rigettata la richiesta di riesame avanzata dall’indagato avverso il decreto di sequestro preventivo del 24.6.2019 – non meriti alcuna censura a fronte delle deduzioni infondate effettuate in ricorso.
2. Il primo motivo di ricorso, in merito alla inconfigurabilità nei confronti dell’indagato del reato di cui all’art. 11 del d.lgs. 74/2000 si presenta infondato. Ed invero, per quanto concerne la natura di “reato proprio” della fattispecie in questione- potendo essere commessa, a dispetto dell’incipit “chiunque”, solo dal contribuente- tale doglianza non coglie nel segno, atteso che all’indagato risulta contestato il concorso quale extraneus nel reato in questione, del tutto
ammissibile, laddove il concorrente estraneo abbia apportato un contributo causale, rilevante e consapevole, alla realizzazione dell’evento. Nel caso in esame la condotta addebitata al ricorrente è stata appunto quella di aver consentito, attraverso la costituzione della H & Y s.r.I., ricoprendo la carica di amministratore di essa ed essendo socio unico di essa, la dissipazione o distrazione dei beni della Z & H s.r.I., in parte confluiti nella nuova società (compresi l’avviamento, e gli utili), avente sede operativa proprio presso il centro commerciale di Siracusa, ove appunto vi era uno degli esercizi della società fallita ed avendo iniziato ad operare con la cessazione di fatto
dell’operatività della fallita; peraltro, la società H&Y risulta essere subentrata nel contratto di affitto della società fallita già nell’ottobre 2016, benchè la Z & H abbia cessato formalmente la propria attività solo nel 2017, dato questo sintomatico di un programma criminale comune, in data antecedente alla cessazione dell’attività da parte della società fallita.
2.1. Per quanto concerne, poi, l’elemento materiale del reato- consistente nell’alienazione simulata, o nel compimento di altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni, idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva- del pari il Tribunale del riesame, nel condividere l’impostazione del G.I.P., ha dato esaurientemente conto del fumus di esso, laddove ha evidenziato come la complessiva operazione di svuotamento della Z&H s.r.l. ed il trasferimento di fatto di tutti i beni materiali ed immateriali ad altre società, tra cui la H&Y s.r.I., conferendo, dunque, l’intero patrimonio a più nuovi soggetti, ben rientra nel concetto di atti fraudolenti, idonei a mettere in pericolo l’azione di recupero da parte dell’erario.
2.2. Con tale valutazione il Tribunale ha fatto corretta applicazione dei principi più volte affermati da questa Corte, secondo cui il delitto previsto dall’art. 11 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, è reato di pericolo, integrato dal compimento di atti simulati o fraudolenti volti a occultare i propri o altrui beni, idonei – secondo un giudizio “ex ante” che valuti la sufficienza della consistenza patrimoniale del contribuente rispetto alla pretesa dell’Erario – a pregiudicare l’attività recuperatoria dell’amministrazione finanziaria (Sez. 3, n. 46975 del 24/05/2018, Rv. 274066; Sez. 3, n. 15133 del 17/11/2017, Rv. 272505). La fraudolenza dell’attività compiuta deve essere apprezzata, poi, nella fattispecie in esame, in relazione non solo alla lesione di un diritto altrui, per effetto della riduzione del patrimonio del debitore che rende più difficoltosa l’azione di recupero dell’erario, ma anche per il fatto che il pregiudizio arrecato non risulta essere
immediatamente tracciabile e comunque percepibile, come più volte evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità.
Inoltre, risulta essere pienamente configurabile il concorso tra il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e quello di bancarotta fraudolenta per distrazione, alla luce della diversità del soggetto-autore degli illeciti (nel primo caso, tutti i contribuenti, nel secondo, soltanto gli imprenditori falliti) e del differente elemento psicologico tra i reati (rispettivamente, dolo specifico e dolo generico) (Sez. 5, n. 35591 del 20/06/2017, Rv. 270810). Sulla stessa linea è stato condivisibilmente rilevato che è configurabile il concorso tra il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e quello di bancarotta fraudolenta per distrazione, atteso che le relative norme incriminatrici non regolano la “stessa materia” ex art.15 cod. pen., data la diversità del bene giuridico tutelato (interesse fiscale al buon esito della riscossione coattiva, da un lato, ed interesse della massa dei creditori al soddisfacimento dei propri diritti, dall’altro), della natura delle fattispecie astratte (di pericolo quella fiscale, di danno quella fallimentare) e dell’elemento soggettivo (dolo specifico quanto alla prima, generico quanto alla seconda) ( Sez. 3, Sentenza n. 3539 del 20/11/2015, Rv. 266133 — 01).
3. Manifestamente infondato si presenta il secondo motivo di ricorso in merito alla mancata individuazione della quota di utili che sarebbe stata assegnata dalla fallita Z & H s.r.l. a ciascuna società, tra cui la H&Y s.r.I., ed al valore del sequestro preventivo disposto nei confronti di ciascun indagato, da ritenersi di gran lunga superiore al valore delle presunte quote distrattive contestate. In proposito, deve evidenziarsi come il provvedimento impugnato abbia compiutamente evidenziato -senza alcuna seria contestazione sul punto- che tutto il patrimonio della Z&H s.r.I., tra cui i rami di azienda, l’avviamento e gli utili riportati nella dichiarazione dei redditi del 2016- pari ad almeno euro 3.183.016,00- siano confluiti nelle nuove società costituite, sicchè la mancata esatta indicazione della percentuale confluita nella H&Y s.r.l. non appare significativa, a fronte del disposto sequestro “del capitale sociale” della società pari ad appena euro 10.000,00.
4. Con il terzo motivo di ricorso, l’indagato lamenta la violazione di legge con riferimento al giudizio di gravità indiziaria, relativo al delitto di autoriciclaggio, adducendo in proposito un indirizzo di questa Corte, secondo cui non integra la condotta di autoriciclaggio il mero trasferimento di somme oggetto di distrazione fallimentare a favore di imprese operative, occorrendo a tal fine un “quid pluris” denotante l’attitudine dissimulatoria della condotta rispetto alla provenienza delittuosa del bene (Sez. 5, n. 8851 dell’ 01/02/2019, Rv. 275495).
Il riferimento all’indirizzo indicato, al fine di escludere la ricorrenza nella fattispecie del delitto di autoriciclaggio, in concorso con il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, si presenta del tutto infondato, non tenendo conto, né della concreta vicenda in esame, né del contesto nel quale sono stati espressi i principi suddetti.
4.1. In proposito, occorre innanzitutto premettere che non si ritiene sussistano ragioni od elementi ostativi a che il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione concorra, in qualità di reato presupposto, con il delitto di autoriciclaggio di cui all’art. 648 ter.1 c.p., in presenza ovviamente di tutti gli elementi costitutivi di tale ultima fattispecie, e ciò sia nel caso di bancarotta per distrazione post fallimentare che in quella prefallimentare, per quanto si evidenzierà in relazione alla fattispecie in esame.
Il reato di autoriciclaggio introdotto nel nostro ordinamento dall’art. 3 della legge 15 dicembre 2014, n. 186, accanto ai delitti di riciclaggio (art. 648 bis ) e di impiego di denaro beni o utilità di provenienza illecita (648 ter), punisce chiunque “avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa”. La previsione di cui al primo comma dell’art. 648 ter.1 c.p. deve essere letta, poi, in relazione alla precisazione di cui al successivo quarto comma, secondo cui “fuori dei casi di cui ai commi precedenti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale”.
4.2. Le condotte del reato in questione – introdotto con la finalità di colmare il vuoto determinato dalle fattispecie di riciclaggio, punendo anche l’autoriciclatore e colui che abbia concorso nel delitto presupposto – sono innanzitutto l’impiegare, il sostituire e il trasferire il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione del delitto presupposto in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative (e per nozione di attività economica o finanziaria occorre far riferimento agli artt. 2082, 2135 e 2195 cod. civ., ricomprendendo non solo l’attività produttiva in senso stretto, ossia a quella diretta a creare nuovi beni o servizi, ma anche a quella di scambio e di distribuzione dei beni nel mercato del consumo, nonché ad ogni altra attività che possa rientrare in una di quelle elencate nelle menzionate norme del codice civile, cfr. Sez. 2, n. 33076 del 14/07/2016, Rv. 267693), ossia in sostanza la reimmissione delle utilità provenienti ex delicto nei canali economici legali.
Ciò però non è sufficiente, perché la ratio di colpire le condotte, successive a quelle costituenti il delitto presupposto, attraverso le quali il reo reimmette il provento del precedente reato in attività economiche, deve coniugarsi necessariamente con gli ulteriori elementi caratterizzanti la fattispecie e segnatamente con la clausola modale, che figura immediatamente accanto alle condotte (“ossia in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa”), e con la causa di non punibilità espressa al comma 4 della norma citata.
Attraverso la clausola modale in questione, invero, è possibile ulteriormente circoscrivere il comportamento rilevante ai fini dell’integrazione della fattispecie, perimetrando le condotte punibili nell’ambito di quei comportamenti che, seppur non riconducibili allo schema degli artifici o dei raggiri, manifestano, comunque, la loro capacità di rendere obiettivamente difficoltosa l’individuazione dell’origine delittuosa dei proventi. L’utilizzo dell’avverbio “concretamente” non solo rimanda ad un accertamento oggettivo della idoneità del comportamento a creare un ostacolo, ma implica anche una valutazione del caso specifico, demandando al giudice il
compimento di una valutazione basata sulla considerazione di tutti i fattori dai quali desumere l’attitudine della condotta a creare l’ostacolo dell’identificazione della provenienza delittuosa dei beni (cfr. sul punto, Sez. 2 , n. 36121 del 24/05/2019, Rv. 276974, secondo cui ai fini dell’integrazione del reato di autoriciclaggio non occorre che l’agente ponga in essere una condotta di impiego, sostituzione o trasferimento del denaro, beni o altre utilità che comporti un
assoluto impedimento alla identificazione della provenienza delittuosa degli stessi, essendo, al contrario, sufficiente una qualunque attività, concretamente idonea anche solo ad ostacolare gli accertamenti sulla loro provenienza).
Inoltre, le suddette attività devono essere considerate in relazione al fatto che la mera utilizzazione od il godimento personale non sono punibili. Invero, l’ipotesi di non punibilità di cui all’art. 648-ter.1, comma quarto, cod. pen.- a termine della quale le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità non devono essere destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale- riguarda l’ipotesi in cui l’agente utilizzi o goda dei beni provento del delitto presupposto in modo diretto e senza compiere su di essi alcuna operazione atta ad ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa (cfr. Sez. 2, n. 13795 del 07/03/2019, Rv. 275528) ed è perciò non punibile.
Tutti gli elementi indicati, letti singolarmente e valutati nel loro complesso, danno conto in definitiva della creazione di una fattispecie di reato plurioffensiva (in quanto “consolida la lesione del patrimonio della vittima del reato presupposto, ma lede anche l’amministrazione della giustizia e l’economia pubblica nel suo insieme”), che si affranca dalla categoria del post factum non punibile, e che correttamente interpretata esclude in sé la violazione del principio del ne bis in idem sostanziale.
4.3. In tale ottica, dunque, vanno lette le pronunce di questa Corte, richiamate dal ricorrente, circa la non configurabilità della condotta di autoriciclaggio, attraverso il mero trasferimento di somme oggetto di distrazione fallimentare, a favore di imprese, poiché effettivamente ciò non basta, occorrendo l’attitudine dissimulatoria della condotta rispetto alla provenienza delittuosa del bene (Sez. 5, n. 38919 del 05/07/2019, Rv. 276853). Nella sostanza ciò vuol dire che per configurare, accanto alla bancarotta per distrazione dei beni dell’impresa, poi fallita, o del loro ricavato a finalità estranee all’impresa medesima, anche il delitto di autoriciclaggio non basta il mero impiego di quegli stessi beni in attività imprenditoriali, ma occorrono pure gli ulteriori elementi specificamente descritti dai commi primo e quarto dell’art. 648 ter.1 c.p.
4.4. Nella fattispecie in esame ricorre il fumus di entrambi i reati suddetti, ossia della bancarotta fraudolenta per distrazione dei beni della Z&H s.r.l. e di autoriciclaggio di tali beni da parte dell’indagato, Hu Shaoijng, concorrente extraneus nel reato presupposto di bancarotta.
4.4.1. Per quanto concerne la bancarotta fraudolenta per distrazione, correttamente il Tribunale ha evidenziato che la Z&H s.r.I., avente esercizi commerciali in Bagheria, Palermo, Siracusa, dichiarata fallita con sentenza n. 8/2018 del 26.3.2018, su istanza presentata dai lavoratori dipendenti 7 quando ancora non palesava crisi, provvedeva nel 2016 alla distrazione dei suoi beni, tra cui l’avviamento e gli utili per almeno 3.0000.000 di euro circa, costituendo in accordo, con concorrenti estranei, più società, aventi sede negli esercizi commerciali della stessa Z&H. La neo costituita H&Y s.r.I.- avente quale amministratore e socio unico Hu Shaoijng nella quale sono confluiti in parte i beni distratti dalla fallita, con prosecuzione della medesima attività sotto altro nome, risulta subentrata nel contratto di affitto della Z&H s.r.l. già nell’ottobre 2016, benchè quest’ultima abbia cessato formalmente la propria attività solo nel 2017. Inoltre, la H&Y s.r.l. risulta avere il capitale sociale di 10.000,00 euro, ma non risulta aver mai beneficiato
dei crediti concessi dalle banche e società finanziarie, ha quale socio unico l’indagato- soggetto privo di redditi sufficienti ad intraprendere una qualsiasi attività commerciale- e, comunque, già disponeva all’atto dell’avvio di un complesso di beni aziendali, in quanto nel suo anno di costituzione effettuava acquisti per soli euro 816,00. Tali elementi danno conto sufficientemente della condotta distrattiva posta in essere dagli amministratori della Z&H s.r.I., in concorso con l’indagato.
4.4.2. La vicenda descritta dà conto, altresì, dell’attività di autoriciclaggio posta in essere da Hu Shaoijng, il quale dopo aver concorso a commettere il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione dei beni della fallita si è reso artefice del reimpiego dei beni e valori distratti dalla Z&H nella società H&Y s.r.I., della quale è divenuto amministratore e socio unico, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa. La sottrazione ed il trasferimento dei beni della fallita, in concorso con il ricorrente, sono stati dissimulati attraverso la “polverizzazione del patrimonio”, impiegato appunto nella progressiva creazione di nuove società, senza dar modo alla curatela di ricostruire le cause del dissesto. La prosecuzione dell’attività a mezzo di altre società “cloni” ed a mezzo di prestanomi ha determinato un pregiudizio per gli interessi del fisco e dei creditori, nonché il reimpiego del provento dei reati di cui ai capi b) e c), pienamente integranti il delitto di autoriciclaggio, in assenza della causa di
esclusione della punibilità ex art. 648 ter.1 c.p.
4.4.3. La circostanza, poi, che trattasi nella fattispecie di distrazione prefallimentare, essendo stata l’attività illecita posta in essere nel 2016, due anni prima circa della dichiarazione di fallimento, non determina l’insussistenza del reato presupposto e conseguentemente dell’autoriciclaggio, contrariamente a quanto sostenuto in un orientamento di questa Corte (cfr. Sez. 2, n.23052 del 23/04/2015, Rv. 264040).
Al riguardo, sebbene il momento consumativo del reato di bancarotta fraudolenta prefallimentare, debba identificarsi con il momento in cui interviene la sentenza dichiarativa di fallimento e non con le singole condotte distrattive precedenti a tale declaratoria (ex plurimis Sez. 5, n. 45288 dell’ 11/05/2017, Rv. 271114; Sez. 5, n. 572 del 16/11/2016, Rv. 268600; Sez. 5, n. 26548 del 2014), tutt avia, come già evidenziato per i delitti di ricettazione e riciclaggio, anche il delitto di autoriciclaggio deve ritenersi configurabile nell’ipotesi di distrazioni fallimentari compiute prima della dichiarazione di fallimento, in tutti i casi in cui tali distrazioni erano “ah origine” qualificabili come appropriazione indebita, ai sensi dell’art. 646 cod. pen. (Sez. 2, n. 33725 del 19/04/2016, Dessì, Rv. 267497; Sez. 5, n. 572 del 16/11/2016, Rv. 268600), in considerazione del rapporto in cui si trovano il delitto di appropriazione indebita (aggravata ai sensi dell’art. 61 n. 11 cod. pen., in considerazione delle qualità dei soggetti agenti; e quindi all’epoca dei fatti anche procedibile d’ufficio) e il delitto di bancarotta patrimoniale, in ragione
del quale il secondo assorbe il primo (ai sensi dell’art. 84 cod. pen., divenendo l’appropriazione un elemento costitutivo della bancarotta: così Sez. 5, n. 2295 del 03/07/2015, Marafioti, Rv. 266018), quando la società, a danno della quale l’agente ha realizzato la condotta appropriativa (che diviene distrattiva), venga dichiarata fallita secondo una evidente progressione criminosa.
Peraltro- è stato anche affermato – che ai fini della configurabilità del reato di riciclaggio, non si richiedono l’esatta individuazione e l’accertamento giudiziale del delitto presupposto, essendo sufficiente che lo stesso risulti, alla stregua degli elementi di fatto acquisiti ed interpretati secondo logica, almeno astrattamente configurabile (Sez. 6, n. 28715 del 15/02/2013, Alvaro, Rv. 257206).
4.4.4. In ogni caso, con riguardo al delitto di autoriciclaggio- è stato anche evidenziato- come esso, pur essendo a consumazione istantanea, sia un reato a forma libera e può anche atteggiarsi a reato eventualmente permanente, quando il suo autore lo progetti e lo esegua con modalità frammentarie e progressive (Sez. 2, n. 29611 del 27/04/2016 Rv. 267511; Sez. 2, n. 33725 del 19/04/2016, Rv. 267497), tanto che può atteggiarsi anche nelle forme del reato eventualmente permanente (Sez. 2 n. 34511 del 29/04/2009, Rv. 246561), come si verifica nel caso di una pluralità di condotte attuate in un medesimo contesto fattuale e con riferimento a un medesimo oggetto, in cui è pertanto configurabile un unico reato a formazione progressiva che viene a cessare con l’ultima delle operazioni poste in essere (Sez. 2 n. 52645 del 20/11/2014, Rv. 261624).
La fattispecie in esame ben può attagliarsi anche a tale situazione, atteso che l’utilizzo dei beni distratti dalla società fallita è avvenuta, anche oltre la data del fallimento della Z&H s.r.I., quantomeno sino alla data del sequestro.
5. Alla luce di tutto quanto evidenziato, pertanto, il ricorso va respinto ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 14.11.2019