avvocato di giuliomaria

CONTAGIO DA COVID-19 NEI LUOGHI DI LAVORO.

OBBLIGHI E RESPONSABILITA’ PENALE DEL DATORE DI LAVORO

L’emergenza sanitaria in atto pone importanti problematiche sul piano della prevenzione dei rischi nei luoghi di lavoro, con particolare riferimento alla tutela della salute dei lavoratori e ai corrispondenti obblighi e responsabilità dell’imprenditore.
Le aziende si trovano di fronte alla difficile gestione del rischio di contagio intraziendale da Covid-19. Tale situazione riguarda tanto le aziende oggi operative – perché attive nei settori individuati come essenziali o perché rientranti nella categoria delle c.d filiere essenziali – quanto quelle che dovranno riprendere – si spera in un futuro molto prossimo – la loro attività.
La complessità della problematica impedisce il ricorso agli strumenti classici della gestione della sicurezza sul luogo di lavoro attraverso le ordinarie figure professionali a ciò preposte.
Ed invero, il rischio di contagio da Covid-19 è stato qualificato come un rischio biologico ambientale che va a coinvolgere qualunque luogo – lavorativo e non – che implichi la concentrazione di più persone. Pertanto, si traduce in un rischio estraneo all’attività lavorativa, muovendo da fattori esterni non direttamente governabili dal datore di lavoro in quanto presente in tutti i contesti sociali.
Possiamo, quindi, trarre una prima conclusione rispetto alle premesse fatte: la natura di rischio generico esclude che il datore di lavoro debba aggiornare o integrare il Documento di valutazione dei rischi (DVR), il quale rappresenta – in base al D. Lvo. 81/2008 (TU salute e sicurezza) – lo strumento preposto alla prevenzione dei rischi endogeni, ovvero direttamente connessi alla attività lavorativa posta in essere.
L’assenza di un obbligo di integrazione, tuttavia, non esime il datore di lavoro dal tutelare la salute dei propri dipendenti e dall’attivarsi al fine di contenere il rischio da contagio.

Sul datore di lavoro, infatti, grava una posizione di garanzia in ordine a tutti i rischi – siano essi connessi all’attività lavorativa o scaturenti da fattori esterni ed estranei al processo produttivo – che trova la sua fonte normativa nell’art. 2087 del codice civile a norma del quale: “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
La posizione di garanzia espone il datore di lavoro – nel caso in cui questi non si sia attivato o lo abbia fatto in maniera insufficiente e si sia verificato un caso di contagio intraziendale – alla possibile contestazione di reati quali le lesioni colpose o, nei casi più gravi, l’omicidio colposo.
L’imprenditore, quindi, dovrà attivarsi al fine di contenere il rischio di contagio nell’area del c.d. rischio consentito, vale a dire assicurare ai propri lavoratori di operare in un contesto che garantisca un livello di sicurezza quantomeno pari a quello esterno.
Il Governo, di concerto con le associazioni di categoria, in data 14 marzo 2020, ha redatto e sottoscritto un Protocollo recante la “regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus COVID-19 negli ambienti di lavoro non sanitari”.
Il Protocollo rappresenta un indispensabile strumento per il datore di lavoro in quanto fornisce le linee guida necessarie per la predisposizione delle misure atte a contenere il rischio epidemiologico, esonerandolo, in ambito civilistico, dalla prova diabolica di aver fatto tutto quanto necessario a garantire la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, così come richiesta dal paradigma normativo generale di cui all’art. 2087 c.c., già citato.
Tuttavia, non esime lo stesso dall’adottare ulteriori precauzioni nel caso in cui la concreta e specifica organizzazione aziendale lo richieda.
La condotta attiva richiesta al datore di lavoro non è di facile realizzazione. L’adeguamento al Protocollo, infatti, investe ambiti eterogenei che andranno regolamentati bilanciando tutti i diritti e le esigenze presenti nella realtà aziendale.

Sarà, quindi, necessario predisporre le misure necessarie a prevenire il rischio di contagio da Covid-19 così da tutelare la salute dei lavoratori e scongiurare possibili contestazioni di natura penale, il tutto garantendo, comunque, la produttività, le dinamiche aziendali, i diritti dei lavoratori. Infatti, un Protocollo estremamente rigido che non tenga conto delle specificità dell’azienda, potrebbe risolversi in una sostanziale paralisi dell’attività produttiva e determinare la lesione dei diritti dei lavoratori contenuti nei contratti individuali e collettivi.
Di qui, la necessità del coinvolgimento di più professionisti specializzati in diversi settori.
L’adeguamento al Protocollo, affinché persegua tanto l’obiettivo di tutelare la salute dei lavoratori quanto quello di scongiurare il rischio di una contestazione penale, deve essere procedimentalizzato avendo in considerazione le caratteristiche della singola realtà aziendale interessata, creando modelli organizzativi ad hoc capaci di garantirne efficacia, rispetto e controllo. La necessità di tracciare gli interventi posti in essere è stata richiamata anche dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro che in una nota ha fatto esplicito riferimento all’importanza di “formalizzare l’azione del datore di lavoro con atti che diano conto dell’attenzione posta al problema in termini di misure, comunque adottate ed adottabili dal punto di vista tecnico, organizzativo e procedurale, nonché dei DPI ritenuti necessari, in attuazione delle indicazioni nazionali, regionali e locali delle istituzioni a ciò preposte”.
Un Protocollo “cucito” sulle peculiarità della singola azienda – il cui rispetto sia garantito dagli organi interni debitamente costituiti – riduce, indubbiamente, il rischio penale. Infatti, l’adozione scrupolosa di un Protocollo ad hoc rappresenta un notevole ostacolo per la costruzione di una contestazione penale, rispetto alla quale la Pubblica Accusa, oltre a dimostrare che il contagio si sia verificato in occasione dello svolgimento dell’attività lavorativa dovrà, altresì, provare che lo stesso abbia avuto origine da una “falla” nella procedura adottata.

L’eterogeneità e complessità delle criticità sopra richiamate escludono la possibilità di approcciarsi alla problematica con superficialità (veicolando, a titolo esemplificativo, alcune regole attraverso mere comunicazioni interne) o di avvalersi, esclusivamente delle canoniche figure di riferimento, necessitando, al contrario, la sinergia di più competenze capaci di sintetizzare in un unico documento tutti i profili di interesse.
Da ultimo, l’eccezionalità della situazione unita alla assoluta assenza di precedenti fa sì che, anche dopo la predisposizione dei modelli, l’imprenditore necessiti di un continuo confronto con i professionisti, al fine di ponderare al meglio le singole determinazioni a fronte di una infinita casistica di possibili evenienze che possono darsi nella concreta gestione della vita aziendale.

Pisa, 9 aprile 2020

Avv. Andrea Di Giuliomaria