La III sez. Cass Pen., con la sentenza n. 156 del 2022, è tornata ad occuparsi di una materia diffusamente trattata dalla giurisprudenza, ma tutt’altro che pacifica: la configurabilità del concorso del commercialista nella realizzazione dei reati tributari.
Brevemente i fatti: il consulente di due società operanti nel settore dei trasporti, è imputato – in qualità di concorrente – per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture e altri documenti per operazioni inesistenti, ex art 2 d.lgs. n. 74/2000. La Corte d’appello di Bologna aveva confermato la sentenza di condanna pronunciata dal Giudice di prime cure, con la quale il commercialista era stato condannato alla pena di due anni e sei mesi di reclusione. La difesa dell’imputato ricorreva per Cassazione e lamentava un macroscopico vizio di motivazione nella decisione del Giudice di secondo grado.
La delicata questione giuridica sottesa alla pronuncia in esame, dunque, riguarda la possibile sussistenza del concorso del commercialista nel reato ex art. 2 d.lgs. n. 74/2000, nonché l’individuazione dei principali elementi costitutivi del medesimo.
La Corte, attraverso un pregevole percorso argomentativo, si interroga dapprima circa la sussistenza dell’elemento oggettivo del reato. Nella commissione dell’illecito tributario da parte del commercialista, infatti, è possibile individuare non solo un concorso morale, ma anche materiale. A tal proposito, è sufficiente che il consulente fornisca un apporto concreto, anche non determinante, nella commissione dell’illecito. Nella vicenda esaminata, il Collegio ritiene che le funzioni svolte dall’imputato siano idonee a far emergere un effettivo contributo causale nella realizzazione del reato: quest’ultimo, evidentemente, si sostanzia nella possibilità (per le due società) di utilizzare una documentazione fittizia.
In secundis, con riguardo all’elemento soggettivo, la Cassazione ribadisce che il dolo specifico – necessario per individuare una responsabilità per il reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74/2000 – è “sovrapponibile” al dolo eventuale. Per integrare tale elemento psicologico, infatti, è sufficiente che il concorrente accetti il rischio che la propria condotta possa determinare un’evasione delle imposte. Non vi è dubbio, secondo la Corte, che nel caso di specie sia ravvisabile la sussistenza di un dolo (quantomeno) eventuale: l’imputato ha inserito numerose passività fittizie all’interno della dichiarazione dei redditi, accettando il rischio di un’evasione fiscale.
Sulla base delle osservazioni appena riassunte, il ricorso viene rigettato. La pronuncia stabilisce, una volta per tutte, due punti chiave in tema di concorso nei reati tributari:
- È sufficiente un contributo “agevolatore” da parte del commercialista;
- Il concorrente deve trovarsi nella condizione di poter conoscere eventuali illeciti fiscali, realizzati dalla società per cui presta opera di consulenza.
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