La I sez. pen. della Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 19887 del 2022, si è cimentata in un compito intricato: fare chiarezza in merito ad un tema piuttosto nuovo del diritto penale d’impresa, che sta creando non pochi “grattacapi” agli addetti ai lavori.
Ci si riferisce alla c.d. bancarotta “riparata”, istituto – di matrice giurisprudenziale – che si configura “quando la sottrazione dei beni venga annullata da un’attività di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell’impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento, determinando l’insussistenza dell’elemento materiale del reato e così annullando il pregiudizio per i creditori”.
La Suprema Corte, nel caso qui in esame, ha confermato la condanna di un manager per il reato di bancarotta fraudolenta, in quanto aveva utilizzato la carta di credito aziendale per scopi estranei all’attività d’impresa. Più nel dettaglio, dopo aver posto in essere gli atti distrattivi, egli aveva siglato un accordo transattivo con la Società, rinunciando ad una serie di emolumenti di sua spettanza – tra i quali la buonuscita – al fine di “porre rimedio” al dissesto che aveva cagionato.
Una siffatta condotta, secondo il Supremo Consesso, non è mai da considerarsi sussumibile nell’alveo della “bancarotta riparata”, poiché i giudici di legittimità, nel caso concreto, non rinvenivano nessun dato certo che facesse propendere per un’avvenuta reintegrazione effettiva del patrimonio sociale, prima della dichiarazione di fallimento.
L’occasione appare preziosa, dunque, per rispolverare i tre requisiti fondamentali che configurano la bancarotta “riparata”, la quale – lo si ricorda ad abundantiam – esclude la punibilità dell’autore degli atti distrattivi. Innanzitutto, l’elemento “cronologico”: è necessario che la reintegrazione patrimoniale avvenga prima della dichiarazione di fallimento. In secundis, un elemento che si potrebbe definire “qualitativo”: la reintegrazione del patrimonio deve configurarsi come effettiva ed integrale. Terzo carattere, l’imprescindibile corrispondenza tra atti reintegrativi (o restitutori) ed atti distrattivi: la sottolineatura non è superflua se si considera che i reati di cui si discute hanno sovente ad oggetto il denaro, bene fungibile per eccellenza.
Infine, un’ultima riflessione a proposito del discusso inquadramento sistematico della bancarotta “riparata”. Nonostante manchi una sistemazione legislativa dell’istituto, questo si può configurare non già come desistenza volontaria, bensì come ipotesi di recesso attivo (56, co. 2, c.p.): infatti, la riparazione elimina le conseguenze patrimoniali e offensive di una bancarotta già perfezionata sul piano della condotta, ma neutralizzata rispetto all’evento del concretizzarsi del pericolo.
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