La I sez. pen. della Corte di cassazione, con la recente sent. n. 34536 del 2022, è tornata ad occuparsi di una questione dibattuta: la configurabilità dell’aggravante della premeditazione nell’omicidio, ex art. 577, n. 3 c.p.
Brevemente i fatti: un uomo attira nei pressi di un bar la sua ex convivente ed il suo nuovo compagno, per poi uccidere quest’ultimo con numerosi colpi di pistola. All’esito del giudizio abbreviato, l’imputato viene condannato alla pena di trent’anni di reclusione, poiché ritenuto responsabile di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione.
La Corte d’Assise d’appello avvalora la ricostruzione del Giudice di prime curae, confermando la sussistenza della premeditazione: infatti, i testimoni escussi dalla P.G. sostenevano che l’imputato aveva deciso da tempo di uccidere il nuovo compagno dell’ex fidanzata, presentandosi all’incontro “chiarificatore” con una pistola carica.
La difesa dell’imputato, mediante un pregevole ricorso, impugna diversi punti della sentenza di merito, lamentando il travisamento della prova in relazione alla mancata esclusione dell’aggravante. Secondo la prospettazione difensiva, infatti, il Giudice di secondo grado avrebbe confuso gli elementi della premeditazione con quelli “sintomatici” della preordinazione. Il Supremo Collegio, con apprezzabili argomentazioni, condivide tali doglianze e sfrutta l’occasione per offrire importanti linee guida sul tema.
Innanzitutto, la Corte ribadisce che gli elementi costitutivi dell’aggravante in esame sono due: “cronologico” e “ideologico”. Il primo consiste nell’apprezzabile intervallo temporale intercorrente tra l’insorgenza dell’animus necandi e l’attuazione del medesimo proposito; il secondo si sostanzia nella ferma convinzione di uccidere, perdurante nella psiche dell’agente per tutto l’iter criminis.
Nel caso di specie, la Cassazione ritiene che il Giudice d’appello non abbia adeguatamente accertato la “sintomaticità” dell’aggravante, soprattutto con riguardo all’elemento cronologico: l’imputato conosceva da un giorno l’identità del “rivale”, un arco temporale troppo breve per qualsivoglia tipo di valutazione.
Sulla base di ciò, la sussistenza della premeditazione si sarebbe dovuta desumere dalla presenza di condotte preparatorie idonee a far emergere una preordinata adesione al piano criminoso. In altre parole, l’esiguità dell’arco temporale doveva essere compensata dalla presenza di altri elementi sintomatici, non emersi tuttavia nel giudizio di merito: portare l’arma con sé non può essere ritenuto elemento sintomatico della premeditazione, potendo indicare al più una mera preordinazione.
La Corte, dunque, accoglie il ricorso difensivo, non prima di aver ricordato il discrimen tra le due fattispecie: la premeditazione indica la lunga riflessione precedente al reato, la preordinazione qualifica la mera preparazione dei mezzi esecutivi per eseguire un delitto. Solo la prima circostanza giustifica, evidentemente, un più grave trattamento sanzionatorio.
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