Al fine di ritenere sussistente la responsabilità del datore di lavoro per un infortunio occorso al lavoratore risulta necessario l’accertamento di tutti gli elementi costitutivi del reato colposo.
Ed invero, una volta ritenuto sussistente il nesso di causalità tra condotta ed evento, risulta necessario individuare la regola cautelare violata, accertare la causalità della colpa, la concretizzazione del rischio e l’efficacia del comportamento alternativo lecito. Deve essere dimostrata, infine, l’esigibilità del comportamento conforme alla regola cautelare da parte dell’agente che concretamente si trova ad agire. In particolare, deve accertarsi l’evitabilità e la prevedibilità dell’evento da parte dell’autore tenendo conto delle circostanze presenti nel caso concreto.
E’ possibile pervenire ad un giudizio di responsabilità solo dopo aver accertato la sussistenza del reato in tutti i suoi elementi oggettivi e soggettivi.
Nel caso concreto la Suprema Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata ritenendo che non fosse stato operato un accertamento esaustivo in ordine a tutti i profili del reato colposo, ed in particolare, nel caso di specie la prevedibilità ed evitabilità dell’evento, basandosi l’affermazione della responsabilità del datore di lavoro su elementi meramente presuntivi ed assertivi.
Penale Sent. Sez. 4 Num. 9216 Anno 2020
Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: PAVICH GIUSEPPE
Data Udienza: 20/02/2020
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ROMAGNOLI GIULIANO nato a MONTECAROTTO il 17/02/1965
avverso la sentenza del 28/02/2019 della CORTE APPELLO di ANCONA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE PAVICH;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUCA TAMPIERI
che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
udito il difensore
Il difensore presente chiede l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Ancona, in data 28 febbraio 2019, ha confermato la sentenza con la quale, il 18 aprile 2017, il Tribunale di Ancona aveva condannato Giuliano Romagnoli alla pena ritenuta di giustizia per il reato p. e p. dall’art. 590, commi 1, 2 e 3 cod.pen., con violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, contestato come commesso in Morro d’Alba il 26 agosto 2014.
Il Romagnoli risponde del suddetto reato quale legale rappresentante della Techpol s.r.l. e datore di lavoro di Giacomo Andreoli, operaio dato in somministrazione dall’agenzia GiGroup quale addetto alle presse. L’Andreoli, nell’eseguire un’operazione di stampaggio di componenti plastici su una pressa, posizionava tali componenti sul relativo stampo, introducendo in tale occasione il braccio sotto la matrice dopo avere aperto il riparo di protezione; prima che l’Andreoli potesse chiudere tale riparo ed estrarre il braccio, la matrice iniziava a muoversi e colpiva la mano dell’operaio incastrandola sul punzone e cagionando le lesioni traumatiche da schiacciamento meglio descritte in atti. In tal modo, secondo l’addebito, il Romagnoli avrebbe violato in particolare l’art. 71, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008, per avere messo a disposizione dei dipendenti un macchinario sprovvisto di adeguati sistemi di sicurezza, ossia nella specie di un’adeguata protezione che impedisse di raggiungere con gli arti la zona pericolosa della
macchina.
Nel rigettare l’appello proposto dall’imputato, confermando la sentenza di condanna di primo grado, la Corte dorica, accreditando le dichiarazioni rese dal teste Mosca (tecnico della prevenzione), ha affermato che l’infortunio si era verificato per un malfunzionamento della pressa, cagionato verosimilmente da una cattiva o non corretta manutenzione del macchinario; non era invece stata fornita dal Romagnoli la prova del suo assunto, teso a dimostrare che nella specie l’infortunio si era verificato per caso fortuito; a sostegno di tale assunto la Corte di merito richiama la deposizione del teste a discarico Aureli, tecnico della manutenzione dei macchinari, il quale aveva ammesso che la macchina funzionava quando ancora il riparo non era completamente chiuso. Sono state disattese dalla Corte territoriale anche le ulteriori argomentazioni difensive relative al comportamento della persona offesa, che secondo l’appellante doveva giudicarsi come abnorme (in quanto l’Andreoli era stato adeguatamente formato e informato dei rischi connessi all’operazione, ma aveva disatteso le istruzioni a lui impartite), a fronte del fatto che le prove raccolte — ed in specie la testimonianza della persona offesa – non consentono di ravvisare alcuna abnormità.
2. Avverso la prefata sentenza ricorre il Romagnoli, deducendo due motivi di lagnanza.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla responsabilità dell’imputato, sotto diversi profili. Dopo avere ribadito che l’Andreoli, in occasione dell’infortunio, aveva violato la procedura prevista per l’operazione di stampaggio su pressa, il deducente evidenzia come la Corte di merito abbia mal interpretato le dichiarazioni del teste Mosca, secondo il quale l’infortunio si era bensì verificato per un malfunzionamento della macchina, ma quest’ultimo – secondo il teste – non era necessariamente correlato a una carenza nella manutenzione del macchinario stesso, potendo essere legato a difetti tecnici, o a una svista, o ad altre cause rimaste imprecisate. A fronte di siffatta incertezza sulle cause dell’incidente, dovevano essere prese in considerazione le dichiarazioni del teste a discarico Aureli, responsabile della manutenzione delle macchine, che secondo quanto da lui affermato veniva puntualmente eseguita; peraltro tali dichiarazioni sono confermate dalla scheda manutenzioni relativa alla pressa, in base alla quale risulta che la manutenzione veniva eseguita settimanalmente e addirittura era stata effettuata il giorno prima dell’incidente. Non si vede allora a che titolo, prosegue il ricorrente, il Romagnoli debba essere chiamato a rispondere dell’accaduto per negligenza, imprudenza o imperizia o inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. Il deducente conclude pertanto che l’accaduto si era verificato per un caso fortuito, o comunque per una causa non prevedibile da parte dell’imputato: il teste a discarico Pacholel, il quale aveva spesso operato su quella macchina (e delle cui dichiarazioni la Corte dorica non ha tenuto alcun conto), ha tra l’altro negato di essersi mai accorto del malfunzionamento di che trattasi, ed anzi la macchina a suo dire partiva sempre circa un secondo dopo la chiusura della protezione. Inopinatamente, la Corte di merito ha invece ritenuto attendibile la persona offesa, la quale pure aveva cambiato versione dei fatti nel corso del tempo in ordine alla dinamica dell’accaduto. In definitiva, conclude il ricorrente, il Romagnoli é stato condannato in base a un convincimento che ha posto a suo carico una sorta di responsabilità oggettiva dell’accaduto.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento al comportamento colpevole del lavoratore nella causazione del sinistro: comportamento che la Corte dorica ha ritenuto esente da colpe, sebbene sia stato accertato (attraverso la deposizione del teste Zare Souleymane) che egli aveva ricevuto le dovute istruzioni sul funzionamento e sulle procedure relative alla pressa. Secondo il deducente, si è al cospetto di un comportamento abnorme del lavoratore, in quanto del tutto imprevedibile e insuscettibile di controllo da parte del datore di lavoro.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso é fondato e assorbente. E’ noto che, nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalità tra omissione ed evento deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto. Il principio, affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261106), é stato fra l’altro richiamato in relazione a una fattispecie (Sez. 4, n. 33749 del 04/05/2017, Ghelfi, Rv. 271052) in cui la S.C. ha ritenuto logicamente fallace, perché espressione di un ragionamento “circolatorio”, la ricostruzione del nesso causale tra la condotta del datore di lavoro, consistita nell’omessa manutenzione di una macchina stampatrice, e le lesioni gravi da schiacciamento della mano occorse al lavoratore intento alla manutenzione determinate dal mancato azionamento del microinterruttore di blocco della rotazione del rullo portacliché, per effetto della rottura della linguetta metallica di attivazione, non avendo il giudice di merito chiarito le ragioni di tale rottura, la tipologia degli interventi di manutenzione omessi e se la loro esecuzione sarebbe stata in grado di evitare il malfunzionamento del dispositivo di sicurezza.
Il caso, per certi versi simile a quello che ne occupa, suggerisce tuttavia una verifica che si estenda dal profilon squisitamente causale – mercé l’indagine sul giudizio controfattuale e sul comportamento alternativo che ci si doveva attendere dal Romagnoli – alla stessa conoscibilità, prevedibilità ex ante e prevenibilità del rischio da parte dell’imputato, passando per le peculiarità che caratterizzano il caso di specie.
Orbene, riassuntivamente, la Corte dorica articola al riguardo una motivazione affatto carente, in quanto perviene apoditticamente all’affermazione di responsabilità del Romagnoli attraverso i seguenti tre passaggi: l’infortunio si é verificato per un malfunzionamento del macchinario; il malfunzionamento era dovuto a cattiva manutenzione della macchina; la cattiva manutenzione della macchina era, come tale, imputabile al datore di lavoro, ossia al Romagnoli.
Tuttavia, dei suddetti tre passaggi, solo il primo risulta univocamente accertato, essendo certo e incontestato che il difetto insito nel macchinario (che si metteva in movimento prima che lo sportellino di protezione si chiudesse) rappresentasse oggettivamente uno scostamento rispetto alle corrette modalità di funzionamento di tale dispositivo di sicurezza, che avrebbe dovuto consentire che la macchina si mettesse in movimento solo dopo la chiusura dello sportellino.
Sul fatto che tale malfunzionamento fosse dovuto a manutenzione, l’assunto della Corte distrettuale é assertivo, ma risulta contrastato dal contenuto della deposizione del teste di riferimento (Mosca, tecnico della prevenzione): il quale, come correttamente osservato dal ricorrente, ha individuato la carenza di manutenzione come una tra le possibili cause del difetto, ma non come la causa esclusiva. Ed é corretto il ragionamento del ricorrente secondo il quale la Corte dorica si sarebbe dovuta confrontare con i dati offerti dal teste a discarico Aureli sulla regolarità delle manutenzioni del macchinario, dati riscontrati dalla scheda di manutenzione della macchina, in base alla quale risulta che addirittura la manutenzione venne effettuata anche il giorno prima.
Ma, anche volendo ipotizzare che effettivamente vi fosse stato un difetto di manutenzione tale da impedire che venisse corretto il malfunzionamento del dispositivo di sicurezza, occorrerebbe poi – e siamo al terzo passaggio – accertare che di tale difetto di manutenzione debba rispondere il datore di lavoro. Per far ciò occorrerebbe però verificare se le eventuali carenze nella manutenzione del macchinario fossero conosciute o conoscibili da parte del Romagnoli, nella sua qualità datoriale.
Orbene, al riguardo la Corte territoriale nulla dice, contentandosi di porre a carico dell’imputato il difetto di manutenzione in quanto condotta omissiva ascrivibile al datore di lavoro. Eppure, risulta che egli avesse designato un responsabile per la manutenzione delle macchine (nella persona dell’Aureli, chiamato a deporre come teste a discarico) e che fosse disponibile una scheda manutenzione indicante che tale operazione veniva eseguita con frequenza settimanale; non risulta, viceversa, che l’inconveniente al dispositivo di sicurezza alla base dell’infortunio si fosse mai precedentemente verificato.
Ora, non è esatto evocare nel caso di specie l’ipotesi del “caso fortuito”, che appresenta il fatto, imprevisto e imprevedibile, estraneo a ogni possibile riferibilità soggettiva; così come non é neppure corretto evocare il comportamento “abnorme” della persona offesa, alla luce del principio, affermato dalla sentenza a Sezioni Unite n. 38343/2014 (Espenhahn ed altri, c.d. sentenza Thyssenkrupp), in base al quale, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo, é necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (negli stessi termini vds. anche Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016 – dep. 2017, Gerosa e altri, Rv. 269603; cfr. in termini sostanzialmente identici Sez. 4, n. 15174 del 13/12/2017 – dep. 2018, Spina e altro, Rv. 273247); a fronte di ciò, é di tutta evidenza che nell’ambito di tale sfera di rischio rientrava anche la circostanza che l’operatore, nell’inserire gli elementi in plastica sotto la pressa, posizionasse la mano e il braccio all’interno di macchinari pericolosi.
Ma, a parte tali profili, resta il fatto che la Corte dorica non ha argomentato, ma ha meramente asserito, che il presunto – e non dimostrato – difetto di manutenzione fosse tale da conclamare la responsabilità datoriale, senza alcuna disamina in ordine alla conoscibilità di tale difetto e, conseguentemente, alla concreta prevedibilità ex ante,da parte dell’odierno ricorrente, del verificarsi di un infortunio del tipo di quello occorso alla persona offesa, nonché alla possibilità di disporre un apposito intervento per prevenire ed evitare simili eventi, in presenza di compiti di manutenzione che risultavano comunque affidati a soggetto fiduciario appositamente individuato (l’Aureli) ed assolti con la dovuta frequenza; e non essendo emersi precedenti, analoghi episodi di malfunzionamento.
2. La sentenza impugnata va perciò annullata con rinvio alla Corte d’appello di Perugia per nuovo giudizio, nel quale la predetta Corte si atterrà ai principi dianzi ricordati.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte d’appello
di Perugia.
Così deciso in Roma il 20 febbraio 2020.